Gunnar Nilsson, la triste storia di un bravo e generoso pilota svedese

Articolo di Aldo Seghedoni

La sua esperienza in Formula 1 fu intensa ma breve, segnata da un destino decisamente amaro.

Negli anni Sessanta e Settanta la Svezia ebbe un ruolo di primo piano in Formula 1 grazie ai suoi piloti. Dal 1956 al 1978, con Jo Bonnier prima e Ronnie Peterson poi, il Paese scandinavo ebbe sempre almeno un rappresentante ai vertici del motorsport mondiale. Non solo specialisti dei rally, quindi: i due alfieri svedesi della F1 conquistarono in totale undici successi nei Gran Premi, dieci con Peterson e uno con Bonnier, nato nel 1930. Entrambi, però, persero tragicamente la vita in pista. Nel Gran Premio del Belgio del 1977, un terzo nome svedese si aggiunse all’albo d’oro della categoria: Gunnar Nilsson.

La sua esperienza in Formula 1 fu intensa ma breve, segnata da un destino decisamente amaro. Nato a Helsingborg il 20 novembre 1948, Nilsson approdò nel Circus quasi per caso, come pedina di uno scambio tra team. Da giovane aveva avviato un’attività in proprio come spedizioniere e, dal 1973, aveva coltivato parallelamente la passione per le corse, passando attraverso diverse categorie minori. Nel 1976, a 27 anni, ottenne un contratto ufficiale in Formula 2 con la March-BMW, ma già nel marzo di quell’anno l’accordo perse valore.

Ronnie Peterson, allora alla Lotus in Formula 1, era insoddisfatto della Type 77 e, dopo una sola gara, decise di lasciare il team per tornare alla March. L’operazione portò a uno scambio rapido: Peterson alla March, Nilsson alla Lotus, che accettò senza esitazioni. Affiancato dal collaudatore Bob Evans, Nilsson debuttò in Sudafrica, seconda gara della stagione. Due appuntamenti più tardi rientrò Mario Andretti, e l’esperienza dell’americano si rivelò preziosa per la crescita dello svedese. Già al terzo GP, a Jarama, Nilsson conquistò il primo podio con un terzo posto alle spalle dei due protagonisti della lotta mondiale, James Hunt e Niki Lauda. All’Österreichring replicò lo stesso risultato. Altri piazzamenti a punti gli valsero la conferma in Lotus per il 1977.

Con l’arrivo della Lotus 78, la Formula 1 vide l’esordio dell’effetto suolo. Nilsson rimase seconda guida alle spalle di Andretti, ma si mise in evidenza per continuità e solidità. Il momento decisivo arrivò alla settima gara stagionale, sul bagnato di Zolder. Partito terzo, restò alle spalle di Jody Scheckter, leader con la Wolf. Quando la pista iniziò ad asciugarsi, azzeccò il momento della sosta e, a venti giri dal termine, superò Lauda. Andò così a vincere con ampio margine, 14 secondi, ottenendo l’unico successo della sua carriera in Formula 1.

Nel finale di stagione, però, tutto cambiò. Errori e incidenti portarono a sette ritiri consecutivi nelle ultime sette gare. La fiducia del team principal venne meno. Per il 1978 la Lotus richiamò Peterson, mentre Nilsson firmò con la Arrows. Quel capitolo, però, non si aprì mai. Nel dicembre 1977, durante un controllo medico a Londra, gli venne diagnosticato un tumore. La malattia si rivelò incurabile. Quando capì che non c’erano più possibilità, Nilsson dedicò le sue ultime energie alla fondazione che portava il suo nome, impegnata nella lotta contro il cancro.

Si spense il 20 ottobre 1978, cinque settimane dopo la morte dell’amico Ronnie Peterson, deceduto in seguito a un incidente nelle fasi iniziali del Gran Premio d’Italia a Monza, durante un intervento chirurgico. Nonostante fosse ormai provato dalla malattia, Nilsson volle essere presente al suo funerale.

Gli dicono tutti che è troppo elegante ma lui non crede sia vero. Ha sempre avuto una grande attrazione per la NBA ma l’altezza non l’ha mai supportato e così ha dovuto ben preso riporre il sogno nel cassetto di diventare un giocatore di basket professionista. Ma non considera che scrivere sia un ripiego, tutt’altro.

TG MOTORI

Articoli correlati