Nargiso lancia il grido di allarme

La crisi del tennis italiano vista da Diego Nargiso. Per oltre dieci anni bandiera dell’Italia in Coppa Davis, l’ex campione napoletano è passato dal campo alla panchina per dedicarsi ai giovani: presente al Torneo Avvenire per seguire il suo allievo Andrea Cugini, classe 2001, Nargiso ha analizzato la situazione attuale del settore giovanile azzurro soffermandosi sui problemi di crescita che ci sono in Italia.

– Nargiso, innanzitutto cosa può dirci di Cugini? Che prospettive ha?
“Andrea è un ragazzo che fa parte del progetto federale, ha un grande potenziale sia fisico che tecnico. E’ alto 1,87 e pesa 80 chili, per uno della sua età sono numeri impressionanti. E’ un giocatore moderno, da servizio e dritto. Ai test di Tirrenia è sempre il primo sulla velocità del servizio, è molto potente. Per ora ha raccolto meno di quanto ha seminato, ma sta comunque crescendo e lavorando sodo per migliorare”.

– In generale invece su chi può puntare l’Italia a livello giovanile?
“Conosco molto bene soprattutto i maschi. Abbiamo molti prospetti interessanti, su tutti farei il nome di Lorenzo Musetti, classe 2002 di bellissime speranze. Sta giocando bene confermando le attese, e può essere lui il capofila della prossima generazione di tennisti italiani”.

– Lei ha raggiunto la finale all’Avvenire nel 1987. Che cosa significa giocare questo torneo?

“E’ una rassegna importantissima e prestigiosa, il primo grande test per un giovane, l’evento è splendido. Ma bisogna rendersi conto che diventare un tennista professionista è come scalare l’Everest: vincere l’Avvenire significa essere arrivato al primo campo base, ma davanti hai ancora 7.000 metri da scalare. Certo, è un ottimo punto di partenza, ti dà fiducia, ma la vetta è ancora lontanissima e sono in pochi a raggiungerla”.

– E allora come si può gestire il passaggio dai tornei junior al professionismo?
“La parola chiave è: equilibrio. Non bisogna esaltarsi per le vittorie, e neppure demoralizzarsi per le sconfitte. E’ impossibile prevedere se un ragazzo diventerà sicuramente un campione, o se non lo diventerà mai. Allora, serve capire che la strada è lunghissima e che bisogna affrontarla passo dopo passo, circondati da un ambiente giusto ed equilibrato. E questo in Italia, purtroppo, è molto difficile”.

– A cosa si riferisce?
“Mi riferisco alla mancanza di cultura che c’è in Italia, a tutto quello che circonda il mondo del tennis a livello giovanile: i genitori, i maestri, gli allenatori, i giornalisti. E’ un ambiente che frena la crescita dei nostri ragazzi: si parla troppo, si pretende il risultato immediato, c’è poca pazienza e tanta pressione. Ripeto, servono equilibrio e un cambio di mentalità”.

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