
Nicoletta Romanazzi ha supportato atleti del calibro di Marcell Jacobs, Gianluigi Donnarumma e molti altri.
Il ritiro di Jannik Sinner durante la finale del torneo di Cincinnati ha fatto preoccupare molti: l’asso di San Candido ha giocato appena 23 minuti prima di alzare bandiera bianca. “Mi dispiace tantissimo, soprattutto perché la partita è durata pochissimo e so che per molti non è stato semplice esserci perché avrebbero dovuto lavorare. Mi dispiace aver deluso il pubblico” ha detto.
Nicoletta Romanazzi, celebre mental coach che supportato atleti del calibro di Marcell Jacobs, Gianluigi Donnarumma e molti altri, ha lanciato un allarme: “Spesso in atleti di vertice la parte competitiva è fuori misura, si allenano come se non ci fosse un domani”.
“Certo, è difficile capire da lontano cosa sia successo – ha detto all’ANSA – potrebbe essere stata un’influenza intestinale, ma di sicuro era stanco. Dopo Wimbledon è stato fermo un mese, è vero, ma sarebbe importante capire come. Ogni tanto serve staccare davvero, per tornare ad essere performanti e per divertirsi davvero a fare quel che si fa”.
Nicoletta Romanazzi ha poi approfondito la questione: “Se la competitività è molto alta, per l’atleta l’ascolto del corpo è pari a zero. E’ un’entità sconosciuta: se il corpo dà segnali, non li percepisce. Per questo ai miei atleti cerco di far capire che il riposo è importante come l’allenamento. Il nostro sistema risponde a ritmi precisi: i picchi durano 90/120 minuti, poi arriva la valle che è importante: se non la ascoltiamo e per 20 minuti rallentiamo, il picco dopo sarà più basso, e quello dopo ancora più basso, fino ad arrivare alla situazione dove o non ho più voglia di fare niente o sono sempre fuori giri, una situazione di ansia. Questo succede quando non rispettiamo il nostro ciclo: se gli atleti lo capiscono, si permettono lo sgarro settimanale alla dieta, l’uscita con gli amici, il riposo. Piè tempo per sé stessi, e diventano più performanti e si divertono: il divertimento è essenziale”.
“Il mio esempio è la medaglia d’oro olimpica Luigi Busà: voleva andare ai Giochi, il karate era la sua vita, doveva essere a tutti i costi il numero 1 ma improvvisamente non reggeva più e voleva lasciare. Pensava di divertirsi, in realtà non era così. Ora sa prendersi le pause: e fa ancora karate” ha concluso la mental coach.