Calcio, Manuel Vergori: la storia del primo calciatore italiano in Vietnam

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Manuel Vergori è al Can Tho dal 2010

Manuel Vergori in Vietnam va per giocare a calcio, a differenza del ragazzo protagonista della celeberrima canzone di Gianni Morandi e che amava i Beatles e i Rolling Stones. Ci va nel 2010, accettando la proposta del Can Tho, un club della massima serie del Paese asiatico.

E’ un salto nel buio per il ragazzo cresciuto nelle giovanili del Lecce. Scopre subito che a quarant’anni di distanza la guerra è una ferita ancora aperta nel popolo. Per le strade vede persone mutilate o irrimediabilmente ustionate dal napalm utilizzato dagli americani durante il conflitto: a qualcuno manca un braccio, a un altro una gamba, altri ancora sono sfigurati. Sono immagini che gli arrivano come un pugno nello stomaco, che fanno pensare, che fanno capire quali siano i reali problemi della vita.

Fa un caldo impressionante quando sbarca a Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon, prima di spostarsi 180 chilometri più a sud. Can Tho è una città relativamente piccola, ha oltre un milione di abitanti. Lo accolgono con gentilezza e con i fiori, come se fosse arrivato un grandissimo fuoriclasse e non un giovane di belle speranze. Rimane a bocca aperta, ma non è soltanto stupore: respira a stento con quell’umidità. Anche la stampa locale è molto incuriosita. Lui però non ha molto tempo da perdere in convenevoli, perché ho subito gli allenamenti.

La prima settimana è un calvario, lavorare a 45 gradi di temperatura è tremendo, non ha mai avuto così tanto bisogno di ossigeno e le sessioni di lavoro sono durissime, il loro allenatore ci fa correre e basta, da quelle parti funziona così. E’ sconcertato, così come lo sono gli altri due stranieri, lo scozzese ex Dundee United David Winters e l’argentino Mario Antonio Romero: si sente davvero debilitato e stenta a recuperare come mai gli era successo.

Il peggio, però, deve ancora venire per l’aitante difensore centrale, che a casa, in Italia, ha lasciato moglie e figlio neonato, per evitare che abbiano problemi in un mondo così diverso. Una fetta di anguria quasi lo manda al cimitero. Evidentemente era stata conservata male, del resto lì nessuno usa i frigoriferi, fatto sta che dopo averla mangiata inizia ad avere una febbre altissima, la pancia gli si gonfia a dismisura. Lo portano d’urgenza in ospedale, nel cuore della notte, e grazie a qualche flebo ne viene fuori, ma sono ore da incubo. Un anno dopo, una ragazza italiana ha avuto lo stesso problema, dopo avere mangiato un frutto avariato. Era in Vietnam in viaggio di nozze e purtroppo, per lo shock anafilattico, vi ha perso la vita.

Superata la disavventura Manuel comincia ad ambientarsi. Ma non è facile né in campo né fuori. La gelosia da parte dei compagni di squadra è evidente, sanno che il suo stipendio è superiore al loro e lo fanno pesare. Cercano di creargli difficoltà in allenamento, sono rapidi e guizzanti, ma lui tiene duro e risponde colpo su colpo: non si fa intimorire, è pur sempre alto quasi un metro e novanta centimetri. Quando poi ci sono le gare di campionato il problema da affrontare è ancora più grande, perché ci sono i tre punti in palio. La disposizione del reparto arretrato è antica, per utilizzare un eufemismo, visto che è che schierata con il libero staccato alle spalle della linea difensiva. E le squadre avversarie non sono scarse: in una partita incrocia pure Denilson, il fantasioso brasiliano che gioca nell’Hai Phong, sia pure soltanto per qualche partita, prima di scappare in Sudamerica alla ricerca di un nuovo contratto. Insomma è dura, anche se la tifoseria è veramente da apprezzare: il fan medio è contento quando vede il gol e poco gli importa se a realizzarlo è la squadra avversaria, ma il suo mestiere è fermare gli attaccanti e poco si concilia con il concetto di spettacolo.

Il concetto di parità dei sessi, invece, in Vietnam sembra ancora molto lontano dal concretizzarsi. Gli uomini tendono a ‘cazzeggiare’, li vedi chiacchierare per ore e ore davanti a improvvisati bar e a stare con le mani in mano dal mattino alla sera. A lavorare pensano le donne e, è bruttissimo dirlo, i bambini. Gli capitava di scendere dall’hotel in cui era alloggiato e vedere ragazzini di 8-10 anni neri come la pece perché stavano frugando nei cassoni della spazzatura alla ricerca di plastica da riciclare. Immagini che non dimenticherà mai. Eppure lì ci sono anche tantissime realtà belle, che fanno amare quella nazione così lontana dall’Italia.

Tecnologicamente, già nel 2010, sono avanti anni luce, sono dei geni dell’informatica. Non esiste la delinquenza. Andare a prendere qualche migliaio di dollari in banca è semplice e sicuro quanto lo è in Italia andare a comprare un chilo di pane. I portavalori lavorano con la massima serenità, non assiste al benché minimo tentativo di rapina e mai ne sente parlare durante la mia permanenza. Ci sono tantissimi giovani, sono loro la speranza di un Paese che sta crescendo giorno dopo giorno e che vuole lasciarsi alle spalle un passato così triste. Vergori disputa un campionato assai positivo, rientra in Italia e non torna più. Per loro un difensore era forse un lusso, perché a livello di immagine era più importante ingaggiare un altro attaccante come straniero: non a caso lo scozzese e l’argentino lo erano. Va anche detto che con i sudamericani e gli africani potevano trovare accordi su basi economiche più basse ed è quello che hanno fatto.

Quando parti una volta dall’Italia, però, è difficile dire no a una nuova proposta. E il calciatore leccese riprende la valigia in mano e vola nella vicina Albania. Firma per il KF Tirana, ha la possibilità di giocare in Europa League e sarebbe un folle a dire di no. Purtroppo però esce al terzo turno preliminare con gli slovacchi dello Spartak Trnava e preferisce a ritornare a casa dopo pochi mesi. Con un po’ di rimpianto, perché Tirana è una città splendida. La sua carriera prosegue in numerose squadre pugliesi, con una partentesi in Piemonte, ad Alba: così lontano dal Vietnam, ma con la stessa passione. La passione che l’ha portato dall’altra parte del mondo a inseguire un pallone.

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