Crolla King James, sorpasso di Boston

Tanto tuonò che piovve. Con la difesa scollata e le assenze di Korver e Shumpert i Cavs escono malconci da San Antonio. Stanno in cima alla classifica come una foglia sull’albero d’inverno, per l’inezia di una sconfitta in meno. Boston vince poi  (con fatica) con Miami, il calendario riserva a Cleveland  la squadra “giustiziera” che da 20 anni  consecutivi inanella stagioni vincenti. Il peggior rivale per una squadra che ha dei problemi, se li è trascinati  per tutta la stagione complice l’acquiescenza del coach e pensa  basti un totem come LeBron per vincere.

Difatti non basta, anche se dopo alcuni minuti  (-6’38”) dall’inizio della gara il Mangiafuoco della panchina Gregg Popovic chiama un minuto strategico strapazzando la sua squadra e gli arbitri. Il fallo tecnico voluto sveglia improvvisamente l’ardore agonistico, gli Spurs scavano un solco incolmabile (40-24) e quando a 25″ dalla fine del terzo quarto David Lee, l’ex marine di Boston,  colpisce con una gomitata alla nuca LeBron, già ammaccato per un’altra gomitata alla cornea di Jeremy Lamb nella sconfitta di Charlotte e costretto a giocare con gli occhiali,  il gigante barcolla, tenta di allungare il passo e poi stramazza a terra senza forze. Mezzo svenuto. E ci rimane un lungo minuto, prima che lo staff si accorga delle sue condizioni.

E’ questa l’istantanea impietosa di un crollo imprevisto. Mente viene portato negli spogliatoi, il palazzo sembra vivere un clima da corrida, la gente esulta, Leonard finisce in doppia cifra, la sua ventesima gara anche se sbaglia 7 triple,  meno contenta  Cleveland sotto di 33 punti e soprattutto il suo staff. Quando si subiscono colpi del genere scatta il rigido protocollo medico della NBA  e bisognerà aspettare l’alba del nuovo giorno per sapere  se Kings James potrà tornare subito in campo, e magari alla prossima gara superare i  28.596 punti di Shaquille O’Nel e diventare con altri 18 punti il 7° marcatore all time  o deciderà di riposarsi, scavare nella coscienza dei compagni e suscitare una reazione forte collettiva  per rifarsi nei playoff come l’anno scorso contro i Warriors quando sull’1/3 il titolo sembrava impossibile. Il giro all’Ovest almeno è finito, anche se le 14 sconfitte su 30 gare e le 18 sconfitte (contro 19 vittorie) in trasferta  sono troppe per una squadra interessata al bis. E  bastonata  di brutto oltre che al Pepsi Center (-29),  dai Clippers (-30) e da Warriors (-35) che avevano il dente avvelenato per l’epilogo della scorsa stagione dopo tanti record stellari.

C’è stato un gusto luciferino nella tripla-doppia n.37 (con 37 punti 13 rimbalzi, 10 assist)  di Russell Westbrook a Dallas, quella del -4 dal record di Oscar Robertson che ne fece 41 nel 1961, un momento sportivo rimasto sepolto fra i ricordi mezzo secolo perchè ci vuole un’intensità e un’energia particolare per sostenere uno sforzo fisico e mentale e rispettare equilibri di squadra;   per analogia è come una gara di triathlon dentro una gara di basket.  E’ forse un annuncio che l’impresa  ci sta, sembra nell’aria,  ma certo non è facile come camminare sul red carpet quando mancano  9 partite concentrate in due settimane, con 3 gare casalinghe  (il trittico Spurs-Charlotte-Milwaukee) dopo la trasferta di domani notte a Orlando, quindi 4 trasferte (Memphis, Phoenix, Denver, Minnesota) e l’ultima davanti al proprio pubblico ancora con Denver. Le 4 casalinghe possono non bastare, ma la star col viso da pugilatore e il vezzo degli abiti all’ultima moda non ha nemici, è guardato con simpatia in questa corsa folle perchè partito Durant per altri lidi si è messo la croce sulle spalle portandola con onore e forse gloria senza sentirsi una vittima. E poi il segnale del destino è vincere proprio a Dallas, sotto di 13 a 4 minuti dalla fine e segnare 16 punti nell’ultimo quarto e il canestro in sospensione decisivo del 14-0 sotto gli occhi di Mark Cuban che  da anni va dicendo in giro che la guardia dei Thunder “non è una vera star ma solo un buon giocatore”. Affermazione alla quale il californiano non ha mai risposto, del resto… noblesse oblige. Il record , oltre a innalzare la figura dello sportivo, alimenterebbe anche il voto dei giurati per il MVP della stagione nel quale il suo rivale è un compagno di squadra dei primi anni di Oklahoma, James Harden, come lui  sotto il cono d’ombra di Kevin Durant. Ma, nella vita coma in un campo di basket, le cose cambiano e i giudizi si deformano o ingentiliscono, e i ragli d’asino tipo quelli del proprietario di Dallas non salgono al cielo, o meglio nell’Olimpo dello sport.

Stanotte a Portland la sfida  con Denver con le due squadre alla pari all’ottavo posto (35/38), dopo 48 ore lo scivolone casalingo  della squadra di Malone e per le implicazioni del risultato,  è difficile  trovare un filo  logico, parlare di tecnica, si tratta di due squadre nevrili, capaci del meglio e qualche volta del peggio. Per due mesi Denver  aveva cristallizzato il ritorno fra le prime otto, nello scambio Jokic-Mason Plumlee ci ha forse guadagnato Portland, il vantaggio si è ridotto via via con i problemi fisici di Gallinari fermatosi in due riprese per l’infiammazione all’inguine e una botta al ginocchio, l’esplosione di Jokic non è bastata, la vittoria casalinga con Cleveland è stata una fiammata favorita dalla condizione dei campioni in carica, New Orleans ha dominato domenica per tre tempi al Pepsi Center e l’aggancio è stato un presagio da sfatare subito, perchè solo la vittoria può tenere in corsa con un calendario disumano, 7 trasferte nelle prossime 9 gare contro, viceversa, le 2 trasferte della squadra di Terry Stotts che perdendo potrebbe invece ancora recuperare. E’ una partita di fuoco nella quale perdere significa anche bruciare una stagione e portare a certe valutazioni, come nel caso di Gallinari un addio anticipato che sembra nell’aria perchè l’apparato del giocatore ha fatto intendere che si dichiarerà free-agent, forse per bisogno di nuovi stimoli e non di una squadra nel quale fare il boia e l’impiccato.

RISULTATI -TORONTO-Orlando 131-112 (36 D.DeRozan 1/1 d3  tl9/14, 17 J.Valaiund 7/9 9, 15 .Joseph 6/10 133; 22 E.Payton 9a, 12 N.Vucebiv 15a 4a);  NEW YORK-DETROIT 109-95 17 d.rOSE  12/17  6A, 25 Porzingis 10/16 8r 3st, 21 C.Anthony, 15 W.Hernanomz 5r; M.Moris, 10 A.Drummond 5/7 tl0/4 15r); SAN ANTONIO-Cleveland 103-74 (24 K,Leonard 11/21 0/7 da3  6r 6a, 14 P.Gasol, 14 L.Aldridge, D.Dedmon 4/6 18; 17 L.James 7/17 0/3 da3 tl3/6 8r 8a, 11 T.Thompson 7a, 8 K.Irving /13 0/2 da3, 9 K.Love 4/12 1/6 a3 7r 5a 2re, 5 Jr Smith 2/ 1/6 da3); Dallas-OKLAHOMA 91-92(15 N.Nol 6/12 8r, 15 W.Matthews , 10 H.Barnes 4/14 , 8 D.Nowitzki 3/9 8r; 37 R.Westbrook 1/30 2/9 tl5/5 13r 10 a 2re 6pe 36′, 15 V.Oladipo 6/15 3/6); UTAH-New Orleans 108-100 (20 R.Gobert 8/11 19r, 20 R.Hood , 19 J.Ingles 7/13 5/5 da3; 36 A.Davis 12/23 tl11/14 17r, 19 J.Holiday 3/7 5a); SACRAMENTO-Memphis 91-90 (2 D.Collison, 14 B.Hield; 22 M.Conle  8/23 1/7 da3, infortunato M.Gasol)

A cura di Enrico Campana

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