Polemiche post Valencia: Guido Meda va giù piatto

Con un lunghissimo post su Facebook, di cui qui riportiamo solo una parte, anche Guido Meda ha detto la sua sulla vicenda che a Valencia ha visto coinvolti Valentino Rossi e una donna bionda. “Non ho mai pensato che fare informazione sia un diritto di tutti, sono sempre stato poco democratico da questo punto di vista. E oggi sono ancora più convinto che il giornalismo sia un patrimonio fondamentale, di tutti. Anche di quelli che lo combattono con superficialitá e luoghi comuni. Non mi riferisco all’obbligo di avere una tessera in tasca. Ma una rete di conoscenze, la frequentazione e un’attitudine professionale pesano moltissimo. Ci sono “non giornalisti” terribilmente stronzi, ma molto talentuosi, sul pezzo e consapevoli del confine. Quando l’informazione sará davvero alla portata di tutti senza distinzione – ormai ci siamo vicini – nessuno avrá più la possibilitá di discernere tra chi offre veritá e riflessioni oneste e chi propina cazzate per oro colato. Fine delle garanzie, le poche che sono rimaste”.

“Oggi se un video ha venti milioni di visualizzazioni, quella è l’unica cosa che conta, in maniera del tutto indipendente dal contesto. Specie se di mezzo ci sono “gli invidiati”, che siano sportivi, politici o star del cinema e della tv non fa differenza. Vincono la rivalsa, la cattiveria e il sensazionalismo. Il tuo errore può essere ascritto a reato, scempio, terremoto tragedia anche senza esserlo di per sè. Lo decide un telefonino con camera accesa per un totale di secondi sei”. “Per farla molto più semplice guardate le foto che pubblico. Foto di paddock e di Rossi nel paddock, qui a Valencia in questi giorni. E lì in mezzo immaginate – fatelo voi adesso – che Rossi ci si debba muovere. Poi immaginate anche il tasso alcolico dei presenti, il tasso di “portoghesi” senza pass, il tasso di quelli che lo hanno avuto chissá come (non esistono pass paddock in vendita). Immaginatelo su un motorino con l’addetto stampa e immaginate tutta quella gente che si accorge di lui. Non può suonare il clacson perché richiama l’attenzione. È così. Immaginatene uno che gli si pari davanti urlando. Immaginate che lui invece di scartare e tirare dritto come si fa di solito si fermi. Immaginate allora mille ascelle sudate addosso, baci, strattoni, ressa, rissa, pizzicotti, pacche sulle spalle. Immaginate questa scena ogni venti metri. Immaginate quello che ha bevuto cinque birre nell’ultima ora che gli spegne il motore e gli prende le chiavi. Immaginate quello che gli strappa il cappellino dalla testa. Il cappellino è uno strumento di lavoro per il pilota e un classicissimo trofeo di guerra per il tifoso. È una villanata prenderglielo, ma lo fanno. Troppi ne ho visti di tifosi che strappano il cappellino dalla testa dei piloti e molti piloti li ho visti incazzarsi davvero”.

“Ma…Credete che Rossi sia il primo, l’ultimo o l’unico? Credete che nella vita di un paddock iperaffollato di avventizi le reazioni umane siano inesistenti? Che tutti i piloti popolari siano santi e pazienti quando fronteggiano le orde, gli eccessivi o i maleducati? Sarebbe brutto e disonesto passare agli esempi e agli aneddoti non avendolo fatto a suo tempo quando accadevano e non c’erano telefonini in giro . Si è semplicemente umani”.

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