Il business arabo nel fighting: a rimetterci è la boxe pura

Il business arabo nel fighting: a rimetterci è la boxe

Non solo nel mondo del calcio: l’Arabia Saudita ha messo piede da un po’ di tempo nel pugilato e sembra non volersi fermare. Dopo alcuni match titolati, ospitati nella terra del Medio Oriente (Ruiz vs Joshua 2, Usyk vs Joshua 2), sembra che vada in voga un’altra tendenza.

Il nuovo business, milionario, nel mondo del combattimento, vira su una formula che è molto redditizia dal punto di vista economico ma poco entusiasmante dal lato sportivo. Si tratta dei cosiddetti incontri “ibridi” fra lottatori di MMA e campioni del pugilato. Un’accoppiata che, inevitabilmente, accorpa tifosi provenienti da sport differenti dando vita a veri e propri sold-out.

Il rovescio della medaglia, però, è la perdita della vera essenza dello sport. Si preferisce un match che, sportivamente, è sempre troppo squilibrato a degli incontri di due atleti provenienti dalla stessa categoria sportiva.

L’esempio più lampante riguarda il campione WBC dei pesi massimi Tyson Fury. The Gipsy King, infatti, ha rifiutato di difendere il proprio titolo pur di affrontare l’ex campione MMA Francis Ngannou in un incontro ibrido a Riyad il prossimo 28 ottobre.

Dall’altro lato, invece, una sfida che da mesi sembrava prossima alla realizzazione fra i due ex campioni del mondo Deontay Wilder ed Anthony Joshua, sembra sul punto di svanire. Questo perché gli sceicchi non hanno più tanto interesse nell’investire su un match vero di pugilato. Il loro obiettivo è uno solo: boxe+MMA.

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