Monty Williams agli Spurs “oscura” Messina?

Rientrato nel basket con la nazionale USA a 5 mesi dalla morte dell’adorata moglie in un incidente automobilistico provocato da un’auto che aveva sbagliato corsia, Monthy Williams ha raccontato a Espn che accetterà la proposta degli Spurs con i quali ha avuto la sua prima esperienza di coach nel 2004.

Dopo la tragedia, ha immediatamente lasciato Oklahoma, dove collaborava con l’allenatore Billy Donovan, mettendo in secondo piano la carriera per occuparsi dei 5 figli che lo seguiranno a Rio, un gesto carino da parte dei responsabili della squadra nazionale americana nella quale figura nella terna degli assistenti di Mike Krzyzewski: “La mia priorità è stare vicino e dare un avvenire ai miei figli,  ma non potevo rinunciare a far parte della squadra americana delle Olimpiadi, un’occasione che passa solamente una volta della vita”, ha detto Williams.

A Oklahoma è arrivato dopo 5 stagioni con i Pelicans (173 vittorie, 221 sconfitte) assieme alla moglie, che seguiva i giovani giocatori nel programma di ambientamento. Rimpianto da tutti, soprattutto da Anthony Davic lanciato con successo nella NBA ,negli ultimi mesi Williams ha ricevuto molte offerte per un  ruolo importante, ma alla fine l’ha spuntata San Antonio. Non solo per la reputazione del club, ma perché è la città di residenza, e ovviamente per il rapporto personale con Gregg Popovic, coach e presidente, e per la stima del direttore generale Buford. I due adesso lasciano a lui la decisione di scegliersi un incarico. Potrebbe occuparsi del programma di sviluppo dei giocatori, entrare nello staff dirigenziale o fare insieme le due cose.

Questo fatto potrebbe determinare una svolta nel futuro degli Spurs e rimescolare le gerarchie per la successione sulla panchina, e quindi anche il futuro di Ettore Messina sul quale conta ancora Gianni Petrucci nonostante il risultato del preolimpico abbia scalfito le certezze del loro sodalizio, peraltro uscito già scosso dalla mancata qualificazione per il mondiale di Toronto e l’Olimpiade di Atlanta della metà degli anni Novanta, ricordo però ormai completamente rimosso nei ricordi della gente del basket perché l’Italia è il paese dove contano solamente l’ultima impressione e i titoli sui giornali…

 Popovich aveva fatto capire durante la stagione di voler lasciare la panchina (e sulla stampa americana si è scritto del diritto di primogenitura di Messina) e rimanere nei panni di presidente. In cuor suo pensava forse di finire col sesto titolo, per cui tutti avrebbero capito e rispettato la decisione. Aver però perso nei playoff (da Oklahoma) e il ritiro di Tim Duncan gli hanno suggerito una decisione degna della sua cultura militare, e nonostante –  con sua grande sorpresa – sia sopraggiunto anche l’incarico di guidare il Dream Team per il prossimo quadriennio olimpico ha deciso di rituffarsi nella sfida e portare a termine il suo contratto in scadenza alla fine della prossima stagione. Come del resto quello di Messina il quale ha chiesto tempo alla Fip fino a gennaio, per capire quali sono le intenzioni degli Spurs per il futuro.

Il catanese ha molti estimatori, ma non è mai riuscito a chiudere con un club, senza una ragione specifica, perdendo per un soffio diverse occasioni, come Oklahoma l’anno scorso e quest’anno Brooklyn nonostante la stima di Prokhorov (il proprietario russo tra i finanziatori del Cska quando il Ct azzurro allenava a Mosca) e del nuovo gm Sean Maks, suo buon amico, arrivato da San Antonio per suggellare una sorta di gemellaggio fra i due club. Messina  è stato “intervistato” questa estate da diversi club, ma alla fine i Nets hanno preferito l’angloamericano Aktinson e a Memphis s’è trovato la sorpresa di avere come competitor il mex-tex James Borrego, uno degli assistenti degli Spurs tornato la scorsa stagione a Fort Alamo dopo aver diretto per quattro mesi i Magic di Orlando.

Messina non rinuncia al suo sogno di essere il primo europeo a guidare una panchina NBA,è nel pieno della maturità, ma oggettivamente l’età (56 anni) non l’aiuta perché nelle ultime due stagioni il trend è quello di lanciare assistant-coach quarantenni se non ancora più giovani, come Tyrron Lue che ha vinto il titolo al debutto o Walton passato da assistente di Kerr a head coach a Los Angeles.

Ormai esaurito l’interesse per il mercato, la nazionale USA tiene banco nelle cronache come l’unico oro sicuro degli States. Ieri notte a Chicago nella quinta tappa di Road to Rio la squadra olimpica ha asfaltato il malcapitato Venezuela (80-45) sorprendente  vincitore nel 2015 a Mexico City della Zona Americana e avversario nel torneo olimpico degli americani l’8 agosto. Una difesa “cattiva” non ha dato respiro ai sudamericani che hanno tirato col 24 per cento; le cose migliori sono venute dall’attacco con percentuali di tiro inusitate rispetto alle precedenti uscite di Las Vegas e California.

Molto motivato Kyrie Irving, ex giocatore di “coach K” a Duke, al debutto con la nazionale dopo aver detto no a Londra all’Australia dove è nato. DeMarcus Cousins è stato devastante ai rimbalzi, 12 sui 54 contro i 24 dei venezuelani. Festeggiatissimi Jimmy Butler, l’idolo dei Bulls, che per tema olimpico sfoggia una maglietta con l’immagine di Pelè, coach K  nativo di Chicago e due ex dreamers Scottie Pippen (oro a Barcellona) e Dwayne Wade (due ori nelle olimpiadi successive) invitati a sedere sulla panchina della selezione. Non ha tirato bene Kevin Durant (3/9), meglio dell’ex Thunder il nuovo compagno Klay Thompson (12 punti).

“Francamente sono soddisfatto di questo risultato, non pretendo 17 triple bensì un lavoro duro in difesa come questo”, confessa l’allenatore dopo 15 giorni di lavoro. L’ultima partita prima di volare lunedì notte a Rio sarà lunedì sera a Houston contro la Nigeria che schiera diversi giocatori nati in America, quindi naturalizzati. Ma questo alla FIBA sta bene mentre agli altri paesi è concesso solo un naturalizzato.

A cura di ENRICO CAMPANA
 

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