Baresi e Bergomi tra sfottò e rispetto

Più che un talk show è stato l’incontro tra due vecchi amici quello tra Franco Baresi e Beppe Bergomi, il 18 ottobre al Teatro San Babila a Milano, nell’ambito della tappa milanese di Panorama d’Italia. A Fabio Caressa il compito di punzecchiare i due campioni per tirare fuori storie, aneddoti e racconti indimenticabili di una vita dentro e fuori dal campo, ma sempre con la stessa maglia. Due bandiere, appunto, come le due anime della città, rivali da sempre, ma nemiche mai. “Il derby di Milano – dice Bergomi – è forse l’unico che, pur conservando il giusto agonismo, rimane una sfida serena, senza veleni. Viene vissuto in maniera sana e anche allo stadio si possono vedere tifosi di Inter e Milan seduti uno accanto all’altro, in assoluta tranquillità. Anche nei nostri anni d’oro, la rivalità tra il calcio di Sacchi e quello di Trapattoni si sentiva parecchio. Ma poi ci ritrovavamo in una nazionale in cui 8 undicesimi venivano da Inter e Milan ed era un orgoglio comune”. “C’è sempre stato grande rispetto – gli fa eco Baresi – fin da quando eravamo ragazzini. Mi ricordo che con mio fratello Beppe ci sfottevamo ma in campo c’era solo spazio per l’emozione di giocare il derby anche se l’uno contro l’altro. Quell’atmosfera sana si è mantenuta anche oggi”.

Anni d’oro quelli del Milan di Sacchi, che Baresi rievoca raccontando la fase più bella della propria carriera: “Sacchi era un rivoluzionario. Non è stato difficile per noi mettere in pratica le sue idee innovative. Eravamo giovani, ampiamente ricettivi e avevamo l’entusiasmo e la voglia di stupire. Era solo molto impegnativo entrare nella sua mentalità votata alla tensione, alla grande intensità, anche in allenamento. Aveva l’abitudine di passare per le camere la sera prima delle partite a darci indicazioni fino all’ultimo secondo. Per questo noi che lo sapevamo spegnevamo la luce e facevamo finta di dormire”. Anche Bergomi da avversario ammette: “Sacchi era più avanti di tutti e noi lo notavamo. Soprattutto per il sistema di gioco, una vera innovazione, contro cui ci accorgevamo di avere davvero poche armi. Per questo giocavamo molto con i lanci lunghi per sfruttare ad esempio Aldo Serena o Lothar Matthaus, ma anche Nicola Berti che nei derby si esaltava sempre. Era difficile contrastarli come squadra e poi c’erano dei campioni tosti: su tutti Marco Van Basten. Veloce, prestante e soprattutto cattivo: praticamente non aveva punti deboli”.

In chiusura, Caressa affonda con una serie di domande incalzanti: “Il giocatore più forte?”, Baresi non ha dubbi: “Messi per me è inarrivabile, forse anche più di Maradona, perché Messi ha in più una maggiore capacità di fare gol. Ma del resto sono epoche diverse e per certi versi imparagonabili”. “E infatti oggi – conferma Bergomi – fare il difensore è più difficile, ci sono molte più variabili in campo e i limiti della fase difensiva sono più evidenti”.

Smettere di giocare? “E’ un vero trauma – risponde Baresi – ci si deve preparare mentalmente, riuscire a tenersi impegnato in altre attività, mentre dentro di te vorresti continuare a giocare anche a 50 anni”. Per questo Bergomi ci tiene a ricordare Gigi Simoni: “Fu l’allenatore che scommise su di me quando avevo ormai 36 anni. Mi disse che gli interessava solo la prestazione in campo e così mi diede la possibilità di giocarmi l’ultimo mondiale da vecchio”.

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