Portannese: “Ho ancora fame”

Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, Marco Portannese sembra uscito da una canzone del grande chansonnier Paolo Conte.
 
Inconfondibile, per la sua folta chioma che avrebbe furoreggiato nella Seattle che esplodeva ai tempi del grunge e dei Nirvana, o nella San Francisco di fine anni Sessanta, dove nacquero mode e tendenze che avrebbero influenzato la cultura, la musica, la società.
Marco Portannese non passa inosservato, anche se conserva i tratti di quel rigoroso contegno delle persone nate in Sicilia: lui è di Agrigento, dove nacque nel 1989, crescendo nella giovanili della Fortitudo ed entrando giovanissimo nel giro delle Nazionali (Under 16, 18, 20 e Sperimentale). Al cospetto del mare e del suo mistero, l’atteggiamento più ricorrente è quello della meditazione e del silenzio. Lontano dal mare, invece, c’è il furore agonistico e l’amore per il gioco di un ragazzo che ha calcato parquet importanti, ma che serba intatte (negli occhi e nel cuore) la voglia di crescere e di competere ai massimi livelli. Anche facendo tesoro degli errori commessi e o delle occasioni non pienamente colte. Perché il basket è l’esatta riproduzione della vita su di un campo rettangolare e in una partita di 40 minuti: non conta l’errore che commetti, conta quanta forza metti nel rialzarti dopo averlo commesso. Marco Portannese si racconta dopo la vittoria della sua Givova Scafati nella coppa Italia di Rimini, dove la guardia rappresentata dalla SPORT lab di Virginio Bernardi ha alzato il titolo di Mvp della finale, vinta contro una coriacea Mantova.
 
Come siete arrivati a Rimini, con quali sensazioni?
 
Convinti di farcela. Sapevamo di avere tutto quanto era necessario per vincere, poi ovviamente la differenza la fanno il campo e il tuo effettivo desiderio di cogliere un obiettivo. Il carattere, la voglia di difendere, la capacità di reagire ai momenti di difficoltà: sono i tasselli necessari da combinare insieme, se vuoi un obiettivo. Altrimenti salta tutto, considerando l’estremo equilibrio e l’ottimo livello delle squadre in campo.
 
Come ti è parso l’evento RNB Festival, nel suo complesso?
 
Eccellente, non ci sono altre parole. Lo attestano i numeri, ossia le oltre 30mila presenze, ma soprattutto la quantità incredibile di addetti ai lavori giunto a Rimini. Una grande festa del basket, ma soprattutto un eccezionale spot per tutto il nostro movimento.
 
Hai alzato la coppa di Mvp della finale.. Quanto conta, per te?
 
Sarebbe banale dire ‘tantissimo’. In realtà, è stato un titolo ed un traguardo che anzitutto viene dopo- in termini di importanza- rispetto al nostro successo di squadra. Ma è ancora più importante perché la prima partita, contro Treviso, è stata molto difficile per me. Poi, in semifinale ed in finale, mi sono sciolto trovando una condizione ideale in attacco e per mettermi totalmente al servizio dei compagni.
 
Siete primi in classifica e a breve ci saranno i playoff per la promozione in serie A1. E l’equilibrio pare regnare sovrano..
 
Non c’è dubbio che Scafati, quest’anno, abbia allestito una formazione competitiva, di talento, lunga. Abbiamo due americani che, prima di essere ottimi giocatori in campo, sono ragazzi straordinari fuori dal parquet. E questo vale molto di più di quanto, ovviamente, tifosi e semplici osservatori non possono vedere. Abbiamo tutto quello che serve per far bene e arrivare sino in fondo, compresa una solidissima guida tecnica, un allenatore di provata esperienza e capacità di raggiungere risultati importanti.
 
Quali sono le squadre che temi di più, in chiave playoff?
 
I nomi da fare sono parecchi. La coppa Italia è stata una prova generale di quanto succederà nei playoff. Formazioni come Treviso, Mantova, Agropoli e Ferentino hanno la capacità di competere con chiunque. E poi ci sono le altre del girone Est che conosco meno, ma di certo non meno pericolose.. Credo davvero che saranno serie all’ultimo respiro e all’ultima goccia di sudore.
 
Marco Portannese ha rimpianti? Cosa significherebbe, per te, tornare in A1 e farlo con indosso la maglia di Scafati?
 
Sarebbe una gioia vera, autentica. Rimpianti? La prima prima esperienza a Scafati, con un coach di spessore come Giulio Griccioli: avevo poco spazio. Come del resto avvenne alla Virtus Bologna, dove ero il decimo uomo: andarmene a stagione iniziata fu una scelta niente affatto polemica, solo non potevo permettermi di rimanere ai margini per un intero anno a quell’età.
 
Ritieni di avere ulteriori margini di miglioramento?
 
Ci sono sempre margini di miglioramento, a ogni età. In fase offensiva, dove mi sono costruito un buon tiro da 3 punti, la velocità di piedi e di gambe che ho raggiunto è soddisfacente. Ma dal punto di vista fisico, come per quello difensivo, ritengo di poter crescere ancora molto e di avere difetti da limare. E’ per questo che ogni estate, a stagione finita, è da anni che svolgo lavoro individuale con professionisti del calibro di Sandro Bencardino e di altri. E’ l’unico modo per crescere, sempre. Non sentirsi appagati, mai.
 
E qual è allora, il sogno sportivo di Marco Portannese?
 
Non lo nego: arrivare a giocare per una grande squadra, penso a Milano, a Venezia.. E’ l’obiettivo di ogni giocatore, quello a cui tendere. E poi, ovviamente, mi piacerebbe arrivare a giocare una competizione internazionale. Tutto per gradi, un passo alla volta. E il prossimo, adesso, è conquistare la promozione in A1 con Scafati.

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