Hundredrooms esalta gli atleti anti ingiustizia

Immanuel Kant parlava della pace come di un ideale regolativo verso cui tendere per costruire una realtà che sia ogni giorno migliore. Un obiettivo che, seppur lontano dal suo pieno compimento, ha ispirato e continua a ispirare moltissimi individui. Tra questi anche tanti sportivi che, in tempi più o meno recenti, si sono distinti non soltanto per le loro abilità atletiche, ma anche per aver lottato in favore dello sviluppo sociale e della conquista dei diritti umani. In occasione della Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace, che sarà celebrata il 6 aprile, Hundredrooms vuole ricordare questi campioni che si sono spesi per il bene del prossimo.

Gino Bartali – il più famoso dei ciclisti italiani, eroe in bicicletta come nella vita. Il “Ginettaccio” toscano, così lo chiamavano gli amici per il suo carattere un po’ scontroso, già a 23 anni era noto alle cronache per la sua vittoria al Giro d’Italia nel 1937. Durante la Resistenza, aiutò ebrei e antifascisti a scampare all’incubo della deportazione. Nascondendo documenti falsi nel tubo della sua bicicletta, riuscì a salvare oltre 800 vite. Gesta eroiche e generose, rimaste segrete per molti anni perché, come lui stesso diceva, “il bene si fa ma non si dice”.

Muhammad Alì – “Mi piacerebbe essere ricordato come un uomo che non ha mai venduto la sua gente. Ma se questo è troppo, allora come un buon pugile”. Parole del campione americano che si è sempre battuto per la fine della segregazione razziale. Noto è il suo gesto di gettare nel fiume Ohio la medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi di Roma del 1960 a seguito di un episodio di razzismo. Nel 1967 si rifiutò di partecipare alla guerra del Vietnam, fu arrestato per renitenza alla leva e privato dei suoi riconoscimenti, tra cui il titolo mondiale dei pesi massimi, conquistato tre anni prima. Alì dovette per questo rinunciare a salire sul ring per molto tempo. Al tramonto della sua vita ha sostenuto la raccolta fondi per la ricerca contro il Parkinson, malattia di cui egli stesso era affetto.

Peter Norman – molti ricorderanno la finale dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico, nel 1968. E molti ricorderanno il gesto simbolico di Tommie Smith e John Carlos, che si guadagnarono il primo e il terzo posto e che, in fase di premiazione, alzarono il pugno verso il cielo, rivendicando la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane. Accanto a loro, il campione australiano salì sul secondo gradino del podio e sostenne quel gesto carico di significato, indossando lo stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti che si battevano per l’uguaglianza. Tutto ciò non senza conseguenze. La carriera sportiva di Smith e Carlos finì in quel preciso istante. Peter Norman, che veniva da un contesto nazionale in cui vigevano l’apartheid e un forte clima di discriminazione sociale, fu brutalmente condannato dai media australiani e boicottato dai responsabili sportivi del suo Paese, che non lo coinvolsero nelle successive Olimpiadi di Monaco di Baviera, nonostante si fosse qualificato.

Steve Nash – l’ex cestista canadese, che per anni ha fatto sognare i tifosi della Nba, organizza ogni anno lo “Showdown” assieme all’amico e calciatore Claudio Reyna. Si tratta di una partita di beneficenza che si svolge a New York e che coinvolge noti calciatori e altri cestisti Nba. Il ricavato viene speso in particolare per aiutare i bambini svantaggiati del Nord America e dell’America Latina, per i quali il campione del basket ha anche creato una Fondazione.

Roger Federer – il genio assoluto del tennis, con i suoi 18 slam è un campione nel campo da gioco e non solo. Con la sua Fondazione, attiva dal 2003, il tennista di Basilea aiuta i bambini in difficoltà, soprattutto nelle zone del Sud Africa. Dal 2006 è ambasciatore Unicef e organizza ogni anno partite del cuore, con la cooperazione di altri grandi tennisti come Rafael Nadal, Novak Djokovic, Serena Williams, Victoria Azarenka e altri campioni del circuito ATP e WTA, al fine di raccogliere fondi da devolvere alle popolazioni più indigenti, bambini in primis.

Andres Iniesta – il centrocampista del Barcellona non è solo uno dei calciatori migliori del mondo, ma anche un esempio di grande sensibilità. Tre anni fa donò la sua maglia, che fu venduta all’asta. Il ricavato della vendita fu donato ai campi profughi del popolo algerino Saharawi per acquistare pannelli solari. I Saharawi vivono a sud di Tindouf, in una delle regioni più inospitali dell’Africa, dove l’elettricità copre solo uno dei cinque campi profughi esistenti. Grazie ai pannelli solari, adesso alcune famiglie possono avere una migliore qualità della vita, potendo usufruire di energia e acqua pulita.

Fratelli Brownlee – Mondiali di Triathlon a Cozumel, Messico. Anno 2016. John Brownlee, argento a Rio 2016, accusa un colpo di calore durante la corsa, che gli impedisce di proseguire. Se non fosse per il fratello Alistair, anche lui in gara, che senza pensarci un attimo lo sorregge fino alla fine della competizione. Vincerà il sudafricano Schoeman, mentre i fratelli inglesi arriveranno abbracciati al traguardo, conquistando il secondo e il terzo posto e scrivendo una delle pagine più belle della storia dello sport, che promuove i valori di altruismo, fratellanza e solidarietà di cui questa società ha disperatamente bisogno.

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